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CIBO E FIABE CAMPANE, LE ECCELLENZE DI UNA REGIONE LEGATE DA SECOLI DI STORIA


Intervento di Angela Matassa, giornalista e scrittrice, firma del Mattino e autrice di numerosi testi, adattamenti e opere teatrali, rilasciato in merito al rapporto cibo-fiaba in Campania in occasione dell'uscita e della presentazione del suo libro al Pan il 25 settembre prossimo di lunedì "Favole e leggende della Campania":


Nonostante le preoccupazioni di salute o di forma fisica che farebbero pensare a uno scarso interesse per quel che mangiamo, il cibo, gli alimenti, le ricette, i ristoranti, sono al centro, quotidianamente, di trasmissioni, articoli, discussioni. Conosciamo bene il significato rassicurante e gratificante di un dolce o di un pranzetto. Sono tantissimi gli scrittori che accennano o descrivono pranzi, colazioni, preparano ricette. Come Dacia Maraini o come Isabelle Allende, che ha addirittura scritto un libro sul cibo e l’amore.


Mi sono interessata come scrittrice al rapporto tra alimentazione e letteratura, e in particolare tra il cibo e le fiabe. Come si può dimenticare la golosissima casetta di Hansel e Gretel descritta dai fratelli Grimm, fatta semplicemente di pane e focaccia, che ha le finestre di zucchero trasparente. Ma non mi soffermerò sul valore antropologico di cibo e alimentazione, bensì sul loro ricorrere proprio nel mondo favolistico, prendendo spunto dal mio libro “Favole e leggende della Campania”, un volume che recupera parte del grande patrimonio fantastico della nostra regione.


Il bisogno di mangiare è primario nell’uomo e, a seconda della classe sociale, il pasto ha un posto e una qualità differenti. Cucina di contadini e cucina di re sono ben distinti: quando racconta i pranzi dei contadini, la fiaba esalta la privazione, la moderazione; quando descrive quello dei re, libera una straordinaria fantasia, illustrando tavole imbandite lussuosamente e sapientemente allestite in castelli pieni di personale di servizio.


Anche la preparazione del desco, infatti, rispecchia questo stato di cose. A una festa in casa di Cenerentola, furono portate “pastiere, casatielli, arrosto, polpette, maccheroni, ravioli”. Nel banchetto del re ci sono sempre papere, maiali, caprette e altri alimenti pregiati. Nelle favole popolari, quelle tramandate oralmente di generazione in generazione, il cibo ha un ruolo rilevante, è la cosa più importante. Molte fiabe nascono proprio dalla mancanza di cibo e dalla necessità di procurarselo, da carestie o altre catastrofi. “Per non aver seminato un po’ di pizza ebbe sempre una carestia di fame” è scritto nelle Due pizzette.


Spesso i genitori più poveri abbandonano i figli perché non sono in grado di sfamarli e, se questi trovano fortuna o fanno un felice incontro, innanzitutto ingrassano. Antuono, il protagonista del Racconto dell’Orco, prima viene mandato dalla mamma nel bosco a tagliar legna “per cucinare due broccoli strascinati per trascinare questa vita”. Poi, andato via di casa e trovata ospitalità e lavoro da un Orco buono, diventò “grosso come un turco, tondo come un bue, gagliardo come un gallo, rosso come un gambero, verde come un aglio e rotondo come una castagna bollita”.


Quasi in tutte le fiabe si ritrovano cuochi, cucine, pentole magiche, tovaglie che s’imbandiscono ad un comando. “Fu stesa da mani invisibili una tovaglia di Fiandra su cui vennero piatti di ogni cosa”. Il re bevve e mangiò a soddisfazione (Peruonto). Oppure nel Racconto dell’Orco, Antuono ha in dono una tovaglia magica alla quale basta dire: “Apriti tovaglia”, per avere cibo a volontà. I banchetti sono frequentissimi. Sia quelli nuziali, sia quelli per la nascita di un figlio, per accogliere un ospite o per festeggiare grandi avvenimenti.

La tavola è significativa. A tavola può succedere di tutto: riconoscere un padre, ritrovare un innamorato, smascherare un colpevole. Una delle più curiose funzioni conferite al banchetto è, ad esempio, quella di operare come un tribunale per rendere giustizia al protagonista. Come accade nella storia di Peruonto. Il re fa organizzare un primo banchetto per invitare tutti i nobili della città, e un secondo banchetto per la gente comune, per scoprire chi aveva messa incinta la principessa, che aveva partorito due bambini, ma che era stata ingravidata per un incantesimo.


E’ segno di ospitalità offrire da bere o da mangiare a chi viene per parlare o chiedere qualcosa (ad esempio la mano di una figlia in sposa), oppure per ottenere qualcosa, oggetto d’incatesimi. Per esempio nei Tre cedri, il figlio del re dà la colazione alla vecchia che doveva dargli un’informazione e deve porgere velocemente da bere alla fata uscita dal vaso, per trovare la moglie bianca e rossa che stava cercando. Anche i paragoni spesso sono fatti con alimenti, come la sposa che il giovane principe voleva: doveva essere “bianca come la ricotta”, che il padre aveva tagliato a tavola.


Ma il cibo è anche la prima richiesta che fa un viandante. In alcune leggende, Gesù, resosi irriconoscibile, chiede del cibo e, a seconda se l’ospite è generoso o no, gli offrirà acqua e pane bruciacchiato o una buona minestra. Da qui, si deduce anche la bontà o l’egoismo della persona, e si tratta soprattutto di gente semplice e povera. Nelle fiabe compaiono più o meno sempre gli stessi prodotti: il pane, il latte, la zuppa, alimenti indispensabili. Galline, anatre, tacchini, conigli, papere, cacciagione, invece, sono un lusso da ricchi. Il maiale è simbolo di abbondanza. Il rito del pane è quasi sacro. Anche Pulcinella ortolano va a vendere al mercato, verdure e minestrone.


La frutta non manca mai dalle tavole ben imbandite, è normale o fatata. Nella Gatta Cenerentola, un dattero magico, regalato al padre di Zezolla da una fata, esaudisce i suoi desideri. Le noci sono sempre magiche. Fichi e uva passa rappresentano l’abbondanza e ricorrono più volte nelle fiabe del Seicento. Ad esempio in Peruonto, le damigelle della principessa Vastolla misero nella botte nella quale, per punizione, era stata rinchiusa dal re con i figli e Peruonto, un barile di uva passa e fichi per farli nutrire. Vardiello, lo sciocco, parla di pioggia di fichi secchi e uva passa per dire che si era saziato.


I legumi ricorrono frequentemente, servono per preparare le zuppe. Ci sono poi favole che parlano proprio di pietanze, ad esempio Il Cece, che dà il titolo a un antico cunto popolare. Ricorre insieme con il gallo, il maiale, il cavallo. Anche gli odori richiamano il cibo e il bisogno di mangiare. Nella fiaba la Papera, la domenica si sente l’odore della zuppa di carne e verdura. Le uova sono spesso nominate, quasi sempre perché rotte da un protagonista maldestro che le riduce in frittata. Pure la caccia è un mezzo per parlare di alimentazione: le prede portate a casa servono sempre per imbandire tavole abbondanti e sfarzose.


Ma gli animali molto spesso sono magici e sono i più preziosi aiutanti dei protagonisti: il figlio che va via di casa per diventare uomo (richiamo all’iniziazione) e dovendo affrontare le più difficili prove, ha bisogno di essere aiutato. Più è buono e generoso, più sarà fortunato, spesso a proprie spese, se è sciocco. Due sorelle poverissime vanno al mercato per vendere il filato e comprare una papera (La Papera). Ma questa è fatata e caca monete con le quali si ripuliscono e cominciano a “brillare”. Ed è ancora cibo quello che compare per descrivere il loro nuovo stato. Sul davanzale, da quel giorno, si videro galline, pezzi di carne e ogni ben di Dio.


Nella Cerva fatata, il cuore di un drago marino, cucinato da una zitella vergine e dato da mangiare alla regina, darà un figlio al Re. Solo all’odore della pentola la regina si gonfierà poi, mangiando il cuore, resterà incinta. Nel Cece, la bambina malata desidera mangiare il fegato del cavallo e la madre lo ammazza.


Le piante, gli alberi, i fiori sono altri elementi che riportano all’arte dell’alimentarsi. Nella Mortella, il principe smette di mangiare quando vede la pianta magica, completamente sfrondata, ma la storia finisce con le nozze e un grande banchetto. Non mancano le spezie e le piante aromatiche. Il prezzemolo pure ricorre, anzi dà proprio il titolo a una fiaba del Basile. In Petrosinella, saranno tre ghiande fatate a salvare i protagonisti e a giungere al lieto fine che, manco a farlo apposta, termina con un sontuoso banchetto.

E’ proprio al lieto fine che Gian Battista Basile spesso affida la sua massima, chiudendo la storia con una metafora che parla di cose da mangiare. Ad esempio, L’ignorante si chiude così: “Dio manda i biscotti a chi non ha denti”. Pure le persone possono diventare cibo per draghi o orchi cattivi e ci sono personaggi che macellano uomini. Mentre gli animali possono essere nutriti bene, alle papere della fiaba Le due pizzette, la sirena dà ogni giorno pasta reale e quelle diventano “grasse grasse”.


Molte metafore vengono espresse con un linguaggio, diciamo così, alimentare. Per esempio, ancora nelle Due pizzette si dice che le sorelle, protagoniste della storia, “Pagarono il loro debito al corpo” per dire che mangiarono. Oppure nel Racconto dell’Orco “il maccherone caduto nel cacio e i broccoli nel lardo”, vogliono significare che tutto è andato al posto giusto.


E c’è anche qualche ricetta. Quattro carote da friggere con la salsa verde, nelle Due pizzette, e perfino Una leggenda del ragù. Addirittura, un uomo d’animo cattivo si riappacificò col mondo e con gli uomini, soltanto dopo aver mangiato un piatto di maccheroni cucinati dalla moglie, nel quale la Provvidenza – dice la leggenda – aveva fatto cadere un sugo rosso sangue, che il signore chiamò raù, come il suo bambino. Nonostante preoccupazioni e prevenzioni, al piacere del palato non si rinuncia. Come dice saggiamente Vardiello, sappiamo che “Ogni dolore finisce in mangiatoria”.

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