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LA CIVILTA' DELLE DONNE: Cos'è IL MATRIARCATO?

  • francescamarra4
  • 28 set 2021
  • Tempo di lettura: 4 min

UNA STORIA AL FEMMINILE


Da quando lo studioso svizzero Johan Jakob Bachofen, alla metà del XIX secolo, ha proposto la tesi di un’antica società matriarcale, l’idea di un potere femminile ha continuato periodicamente a comparire nelle scienze umane. In alcuni casi, si è trattato di usare in modo strumentale la nozione di matriarcato, come hanno fatto i socialisti per dimostrare la possibilità di pensare una società diversa da quella capitalista.


In altri casi, il matriarcato è diventato la chiave di lettura di alcune tendenze della nostra società, come nel caso dello psicoanalista Erich Fromm negli anni Settanta.




Da qualche anno però il matriarcato è tornato alla ribalta negli studi psicoanalitici e antropologici: nel primo caso per la denuncia di una sorta di nuovo matriarcato che si starebbe imponendo nel nostro mondo, nel secondo per la scoperta di una vera e propria cultura dall’aria matriarcale in una provincia remota della Cina.


La fine del patriarcato?


Negli anni Settanta uno psicanalista come Erich Fromm rilevava una tendenza al matriarcato nella società del suo tempo. Egli partiva dall’assunto che il principio matriarcale fosse caratterizzato dall’amore incondizionato, dalla compassione, dal legame con la terra natia e l’uguaglianza, al contrario del principio patriarcale, dominato dall’amore condizionato, dalla gerarchia, dalle leggi, dall’astrazione.

Molte cose del suo tempo gli sembravano andare verso il matriarcato: il peso del gruppo nelle relazioni giovanili, l’ideale del consumo immediato della società industrializzata, la fine delle differenze di vestiario e altre ancora (come leggiamo nel Significato attuale della teoria del matriarcato, saggio del 1970 contenuto in Amore, sessualità, matriarcato, Mondadori, Milano 1997). Il suo timore era che questo riemergere del matriarcato, più che inizio di una nuova società, fosse il regresso verso l’infantilismo



Gli studi recenti


Con toni diversi questa idea è stata ripresa recentemente dallo psicoanalista Charles Melman. Nella conferenza sul matriarcato del 2008 si colloca sulla stessa linea di Fromm, ma dando spazio a considerazioni che riguardano anche le patologie psicoanalitiche e il senso della realtà delle giovani generazioni. Melman parte dalla considerazione che l’autorità del padre impone un sacrificio e inserisce nei rapporti con il figlio l’idea del dovere. L’autorità materna non chiede un sacrificio, ma si basa sulla debolezza della madre e del figlio rispetto al padre.

Quello che accade nella società attuale secondo Melamn è che «per il fatto che c’è un declino del patriarcato, il padre non è più un’istanza amata e privilegiata la cui autorità è riconosciuta, il matriarcato diviene la forma dominante di allevamento sei bambini e causa dei sintomi nuovi a cui dobbiamo rispondere»


Nuove patologie e nuove speranze

La crisi del patriarcato a livello di istituzioni di Fromm è dunque diventata una crisi che riguarda anche le famiglie. Gli effetti di questo cambiamento secondo Melman sono il venir meno del modello e dell’autorità del padre. Le giovani generazioni sono caratterizzate dal fatto di autorizzarsi da sole e dall’essere pienamente responsabili, senza attribuire al rapporto con i genitori le proprie sconfitte. Da questa nuova condizione giovanile, secondo lo psicoanalista francese, deriva il venire meno delle nevrosi tradizionali (legate alla relazione con il padre) e il diffondersi di disturbi borderline che però non arrivano alla psicosi per i limiti che la realtà impone alle esperienze di vita.


Una società matrilineare esistente: i Mosuo


Mentre per qualche psicologo la nostra società sta virando verso un principio matriarcale o quanto meno sta annullando quello patriarcale, una cultura dalla forte impronta matriarcale è emersa in Cina, ma è forse già in crisi. Si tratta della cultura dei Mosuo, una popolazione che vive nel distretto di Yongning. Vari reportage e libri ci spiegano i caratteri di questa società. Secondo quanto scrive l’antropologa Christine Mathieu alla conclusione del volume Il paese delle donne (l’autobiografia della cantante Yang Erche Namu, che appartiene alla etnia Mosuo, pubblicata da Sperling e Kupfer 2003), questa cultura è fondamentalmente matrilineare: in altre parole, la discendenza e i legami familiari dipendono dalla linea materna e non da quella paterna.


La famiglia mosuo ruota quindi attorno alla linea di discendenza materna, e al suo interno annovera tutti parenti di sangue. Il genitore maschio dei figli non fa parte della famiglia e può anche essere ignorato dai figli. È improprio però parlare di matriarcato perché i quadri del potere delle istituzioni della regione sono nelle mani degli uomini.

Il matrimonio itinerante


Una delle caratteristiche dei Mosuo è l’assenza del matrimonio: i rapporti amorosi e sessuali si svolgono sulla base del reciproco consenso e possono essere interrotti senza complicazioni (anche se alcuni possono proseguire per tutta la vita): è il cosiddetto “matrimonio itinerante”. Questo modo di concepire i rapporti fa sì che la tolleranza prevalga sulla gelosia, scrive Ricardo Coler in un reportage sulla sua permanenza presso i Mosuo (Il regno delle donne, Nottetempo, Roma 2013).


Un mondo inconsueto, dunque, dove la famiglia estesa, tutta di consanguinei, segue le decisioni della matriarca e dove però tutti hanno il diritto di parola, dove l’amore è vissuto fuori da istituzioni, dove la figura del padre non è centrale ed è anzi ignorata.

La cultura mosuo ha resistito alle pressioni dei funzionari comunisti cinesi, che non accettavano un modo di vivere così libertino.

Ma resisterà a quelle del turismo e all’integrazione con il mondo globalizzato?



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