Il film “Indivisibili” di Edoardo De Angelis ha cominciato il suo percorso festivaliero proprio l’anno scorso: di questi tempi partecipava infatti fuori concorso – grande svista della Biennale – alle giornate degli autori del Festival di Venezia 2016, e da allora non si è più fermato. La polemica agitata da Paolo Sorrentino sulla sua potenziale e forse migliore candidatura all’Oscar da parte dell’Italia come film straniero (assegnata poi al documentario di Rosi “Fuocammare” che ha mancato di fatto la cinquina a cui era destinato), non ha scalfito per nulla il suo ottimo cammino tra pubblico e festival (c’è stato anche spazio per un piccolo incontro coi ragazzi della Masterclass di Giffoni a luglio). E non sono mancati ovviamente i premi importanti, in primis quei David di Donatello meritati e sacrosanti. Questo perché l’ultima fatica di De Angelis è un piccolo gioiello di scrittura, regia e interpretazioni come non se ne vedeva da tempo. Ci aveva visto giusto Sorrentino quindi, e anche gli spettatori hanno saputo riconoscere un buon prodotto, forse il migliore dell’anno, che ha mancato il David al miglior film solo perché era in gara con “La Pazza Gioia”, altro bel film della scorsa annata. Passato fuori concorso anche all’ultimo Social World Film Festival di Vico Equense, con la serata di apertura che ha visto Enzo Avitabile in concerto con le musiche del film (anch’esse giustamente premiate dall’Accademia Italiana), “Indivisibili” è una favola nera, gotica, quasi pasoliniana, che ricorda il percorso alla scoperta di sé e del male nel mondo visto in “Io non ho paura” di Salvatores, altro film che mancò la nomination alla statuetta dorata. Dasy e Viola, le due splendide e giovanissime protagoniste, sono indivisibili sul palco dove si esibiscono per la piccola impresa messa in piedi dal padre (Massimiliano Rossi, l’attore che interpretava Zecchinetta in Gomorra – la serie), indivisibili in famiglia e indivisibili in ogni momento delle giornata e della loro vita: sono gemelle siamesi, non a caso. La loro condizione potrebbe cambiare e migliorare se non fosse per l’ignoranza gretta e testarda del genitore e del prete della loro comunità. L’unica a intravedere un futuro diverso per le ragazze è forse la madre (una sempre brava Antonia Truppo, migliore non protagonista per il secondo anno consecutivo dopo “Jeeg Robot”), incapace però di farsi valere. “Voglio fa ‘ammore, voglio prova che cosa significa”, dice una delle due gemelle all’altra, quest’ultima spaventata dalla possibilità di una separazione che vede anche affettiva oltre che fisica: “Che male ti faccio io?” è la replica tenera e disarmante della sorella. Come in una moderna fiaba, le due sorelle si confronteranno con nuovi orchi e lupi tentatori (se non proprio diavoli), tra fughe in motorino e in barca sullo sfondo del Villaggio Coppola, un luogo dall’animo sempre più cinematografico dopo i vari Gomorra e “L’Imbalsamatore” di Garrone. L’ultimo atto del film sarà un crescendo di emozioni e tensione, che non tradisce le attese maturate per tutta la durata del film.