15 ottobre 2018 ore 18,30
Libreria Iocisto
Via Cimarosa - NapolI
Un grande successo “Questioni di sangue”, riproposto nella sezione Direzioni Immaginarie, di Homo Scrivens, con una nuova rubrica, appendice dei libri, dal titolo “la stanza dello scrittore”, in cui l’autore è invitato a raccontarsi e aprire un dialogo immediato e non convenzionale con i propri lettori.
“Sono anni che lavoro ai personaggi del Rione Sanità, che per certi versi ormai considero la mia famiglia, come se li avessi conosciuti uno per uno”- ha detto Annavera Viva, a proposito delle novità letterarie che la riguardano- “ed oggi grazie al successo ottenuto, sono felice che il mio primo libro Questioni di Sangue dopo molte ristampe esiga una riedizione, visto che è ancora tanto richiesto. E considero di buon auspicio che questo avvenga alla vigilia dell’uscita del terzo libro della serie “La Cattiva stella” che è in programma per Novembre”
Questioni di sangue ha, peraltro, una trama avvincente e originale che ne spiega il successo. Questo recita la quarta di copertina: Nell' antico e misterioso quartiere Sanità, nel cuore più profondo di Napoli si consuma un inspiegabile quanto prevedibile delitto. Renato Capece poliziotto corrotto e rapace che stringe tra i suoi artigli crudeli tutto il rione viene trovato morto all' interno della sua abitazione. Le indagini sono rapide e sommarie e portano a un risultato che non soddisfa appieno Padre Raffaele , il nuovo parroco che si è insediato da poco nella chiesa di Santa Maria alla Sanita. Legato a quei luoghi dal sangue e da un passato che nasconde con cura anche alla fedelissima perpetua Assuntina che pare avere occhi e orecchie per tutto, il prete proverà a dare una risposta a quel delitto e alle inquietudini che lo divorano.
Annavera Viva è nata a Galatina (Lecce) ma vive a Napoli. Con Questioni di Sangue (Homo Scrivens 2014) e Con Chimere “una nuova indagine per padre Raffaele”, (Homo Scrivens 2015), ha riscosso un enorme successo di pubblico e di critica.
Tanto, è l’interesse che questo romanzo ha suscitato nella critica, perché Napoli, e in particolare la Sanità, sono descritte dai sentimenti suscitati, alle tradizioni, alla storia e cultura.
Questioni di sangue è storia di un delitto cui detta il tempo una serie di fatti, di “inciuci” di quartiere, vissuti attraverso gli occhi e le orecchie di un prete dalla corporatura robusta, con il sangue pulsante di una vitalità tutta partenopea, che l’uomo ha tentato di mettere a tacere durante la lunga residenza a Roma. Un religioso aiutato nelle sue indagini da una perpetua napoletana, una pelle ispida compensata dalla sagacia, e da quella curiosità che – ci tiene a precisare lei – non è pettegola, perché non sparla per odio, ma ama i fatti della gente.
Un Don Raffaè che stavolta è il nome del <buono> ma che è comunque legato irrimediabilmente, per genetica, per sangue, a un camorrista, al boss del quartiere, Peppino Annunziata.
Questione di sangue è la storia di due fratelli che sono i due volti della società così distanti nelle strade intraprese, eppur irrimediabilmente legati da un che di viscerale, da un moto sotterraneo e verace dell’animo, un amore senza ragioni, e che spesso non trova parola per esprimersi. Una diversità in cui loro sono tuttavia molto simili, posseggono lo stesso carattere ma lo hanno plasmato in modo differente, da quel drammatico momento che li ha visti separati da un assistente sociale. Un carattere così difficile da estirpare, tramandato di padre in figlio, un cognome che è un destino, un modo d’essere che continua a tormentare e angosciare persino l’uomo di Chiesa che ha scelto per sé una strada differente.
Di sangue si parla in tutta l’opera, dal delitto alla fratellanza, dalla esuberanza e istintività caratteriale a quella «faccia nera dell’anima, il marchio del male». Un male pronto a venire fuori da chiunque, da qualsiasi strato sociale e personalità, eppure un male così condizionato, che inevitabilmente mette maggiormente alla prova chi non vede alternative di vita, chi non trova scappatoie alle disgrazie capitategli. Ecco perché il male è più puro proprio dove imperversano agio e ricchezza.
Il giallo si risolve non tramite gli strumenti tipici d’indagine, i fatti, bensì attraverso l’attento esame condotto dal prete sull’anima delle persone implicate: «Però io non sono un investigatore, non ne ho né le qualità né i poteri. Tutto quello che posso fare è provare a leggere nell’animo della gente, a scrutarne debolezze e passioni». Un andare oltre la superficie e un accenno critico verso quella caratteristica tutta umana di non riuscire ad andare oltre l’apparenza.
Don Raffaele riesce nell’intento difficilissimo di trasmettere coraggio e volontà di lottare, nonostante la più pessimista delle ipotesi: che esiste un carattere insito nella genetica, nel tessuto sociale, qualcosa impossibile da eliminare del tutto, e che dove vivi, da chi nasci, con chi cresci decide chi sei. Se nonostante quest’idea c’è ancora terreno per la speranza, allora non è tutto perduto.
Annalisa Tirrito, ufficio stampa, cell. 335.5289607, tirrito.annalisa@gmail.com