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RECOVERY FUND, SOSTENIBILITA', CINA FEDRIGA

INTERVISTA A ZENO D’AGOSTINO: RECOVERY FUND, SOSTENIBILITÀ, CINA, FEDRIGA.


IL PUNTO SU TRIESTE DAL PRESIDENTE DELL’AUTORITÀ DI SISTEMA PORTUALE DEL MAR ADRIATICO ORIENTALE


Quasi 62 milioni di tonnellate di merce movimentate nel 2019, delle quali poco più di 43 milioni rappresentate da rinfuse liquide, in larga parte petrolio, che ne fanno il più importante scalo petrolifero del Mediterraneo e uno dei più performanti d’Europa. Il porto di Trieste, primo scalo del Paese, è in forte crescita e sta assumendo sempre più importanza a livello globale per il suo essere incuneato nel centro dell’Europa, per i suoi fondali che permettono l’arrivo delle super porta container dal Far East, tanto da aver attirato le attenzioni della Cina e dell’anseatica Amburgo, uno dei principali hub portuali continentali. Oggi il contesto politico nazionale potrebbe minarne la crescita, a causa dei grandi punti interrogativi sul Recovery Fund, nel quale lo scalo internazionale del capoluogo del Friuli Venezia Giulia ha un ruolo da protagonista. Ne abbiamo parlato con Zeno D’Agostino, presidente dell’Autorità di sistema portuale del mar Adriatico orientale, inserito, da Forbes, nella lista dei 100 migliori manager italiani del 2020.

“Le preoccupazioni per Trieste relativamente al Recovery Fund – ha spiegato D’Agostino - sono molto fondate, direi assodate. Nel testo si parla di 388 milioni che riguardano progetti ben specifici che abbiamo presentato, in tutte le forme gradite a Bruxelles, in termini di impatti sulla sostenibilità, sull’occupazione. Le cose che ci sono su Trieste sono molto concrete. Ora, alla luce di quanto sta accadendo dal punto di vista politico nello Stivale, bisogna capire che fine fa il piano”.


Sostenibilità significa anche elettrificazione delle banchine, per ridurre l’impatto del lavoro portuale sulla città e sui lavoratori portuali, e potenziamento della logistica su ferro.

“C’è un progetto complessivo che riguarda tutti i porti, Trieste compresa, sulla questione dell’elettrificazione delle banchine, con circa un miliardo che viene messo sul tavolo dallo Stato, attraverso il Recovery. Poi c’è tutta la componente ferroviaria: abbiamo già circa 200 milioni di finanziato sul ferroviario ma ne abbiamo ancora bisogno perché con la crescita esponenziale e anche dimensionale del porto deve progressivamente crescere anche l’infrastruttura ferroviaria di queste nuove aree che andiamo a sviluppare. Si tratta di una serie di progetti che stiamo preparando da giugno e che abbiamo già pronti da fine agosto. Che dire, la questione Recovery Fund è avvolta da un grosso punto interrogativo che mi pongo non solo da presidente del porto ma anche da cittadino italiano”.


Il 2019 è stato l’anno del memorandum con la Cina, poi tutto sembra essersi arenato...

“Con la Cina noi abbiamo inaugurato un modus operandi che poi gli altri hanno detto che bisognava applicare, vale a dire quello della reciprocità. Con la Cina abbiamo messo in piedi un discorso che prevedeva progetti sia in Cina che in Italia. Non abbiamo visto tanti progressi sul suolo cinese e quindi, giocoforza, nemmeno in Italia. Quindi la critica per cui Trieste si è venduta o altre corbellerie del genere è stata smentita dal fatto che noi siamo stati quelli che per primi sono riusciti, pur nel loro piccolo, a chiedere al soggetto cinese che si partisse con dei progetti specifici in Cina. Su questo punto, devo dire, c’è stata una piccola ripresa a fine 2020, soprattutto sul tema della filiera del vino. Ed è li che misuriamo il nostro progetto sulla Cina, il resto sta anche alla trattative che fanno i privati. Noi siamo piccoli nel contesto globale ma le idee le abbiamo chiare e siccome abbiamo un patrimonio prezioso che è oggi Trieste, il suo porto e la sua collocazione a livello globale che comincia ad avere da qualche anno un’importanza rilevante, lo mettiamo sul tavolo delle trattative. Io non ho mai avuto dubbio su questo, magari è qualcun altro che ne ha sulle nostre capacità di dialogare.


Mentre con la Cina le cose appaiono più complicate, con i tedeschi di Hamburger Hafen und Logistik le cose sono andate avanti molto velocemente.

“Noi ragioniamo a livello tecnico e oggettivo. Ed è oggettivo che sono maggiori le difficoltà nel poter garantire un passaggio tranquillo di una golden power relativa a un’annessione o un acquisto di una struttura strategica per il Paese da parte di un soggetto cinese all’interno dello scalo di Trieste potrebbe provocare molti più problemi rispetto a una golden power sui tedeschi, come poi in effetti è avvenuto. Ed è una cosa risaputa, che noi tecnici comprendiamo, che i tedeschi di Amburgo per l’ingresso nella piattaforma logistica triestina hanno ottenuto il beneplacet abbastanza rapidamente perché soggetto comunitario”.


Intanto per quel che riguarda il prossimo futuro quali sono gli scenari e gli obiettivi?

“Una cosa che va detta e su cui noi lavoriamo sempre ma che non appare così scontata e che spesso va comunicata è che noi oggi abbiamo un sistema complessivo fatto si dal porto di Trieste, ma anche dagli interporti, dalle zone industriali – noi siamo al 52% nel Consorzio di sviluppo economico locale dell’area giuliana (Coselag) e io ne sono il presidente – dal porto di Monfalcone, abbiamo aree di punto franco che sono appetibili. Quindi è di lì che arriveranno le grandi novità nel corso del 2021. Anche perché il porto adesso ne ha di cose da fare, tra ungheresi all’ex Teseco per il terminal multi-purpose su un’area da 32 ettari, accordo di programma della Ferriera, e ampliamento del molo settimo. Insomma in porto ci sono così tante cose da fare che spero che ulteriori novità non arrivino. Non va quindi sottovalutato tutto quello che sta accadendo a livello di trasporti, di zona industriale e a livello di FREEeste, la nuova zona franca del porto di Trieste che sorge a Bagnoli della Rosandra. Ed è probabile che arriveranno proprio di lì le principali novità del 2021. Nella nuova zona franca abbiamo portato avanti attività logistiche, i magazzini sono pieni, ma non è quello l’intento, perché lì vogliamo fare anche attività industriale”.


Il collegamento con Pordenone ha reso ancora più evidente l'importanza delle connessioni con un retroporto che diventa sempre più interconnesso. Si può definire il Friuli Venezia Giulia come la grande piatta logistica del porto, definita così nei giorni scorsi dal governatore Massimiliano Fedriga?

“Penso che sia una gran bella cosa quando un governatore fa un ragionamento di questo tipo, perché è evidente che c’è un totale allineamento da tutti i punti di vista, sia di chi ha in qualche modo l’onere e la responsabilità di governo di tutta la regione e di chi come noi deve gestire i punti fondamentali di questo sistema. Quindi l’altro giorno in Camera di commercio, a Trieste, ero felice di ascoltare da Fedriga. Non è scontato vedere un allineamento di questo tipo. Da soddisfazione. E, mi permetto di dire, che la da anche agli esperti venuti da fuori Regione che, l’altro giorno, hanno assistito all’incontro organizzato dalla Camera di commercio della Venezia Giulia e The European House - Ambrosetti sulle strategie e le azioni per la competitività della Venezia Giulia al 2025.

Tutti i partecipanti hanno enfatizzato il ruolo dello sviluppo logistico della Regione. Non mi sembra fosse così scontato sei anni fa. Oggi è diventato un mantra un po’ per tutti ed è una grande soddisfazione”.

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