RIVIERA DEL GIGANTE, LA BELLA STAGIONE ESTIVA SULLA COSTA ADRIATICA DEL TERAMANO DA CUI CONTEMPLARE LA NATURA SUBLIME E I MAESTOSI MONTI D’ABRUZZO COME GRAN SASSO, LAGA E MAJELLA DIRETTAMENTE DAL MARE
- Renato Aiello
- 12 minuti fa
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“D'estate la notte faceva fresco e la primavera degli Abruzzi era la più bella d'Italia. Ma quel che era bello era l'autunno per andare a caccia nei boschi di castagni”.
Il ricordo di Ernest Hemingway, quasi un secolo dopo, corrisponde ancora alla verità nella regione d’Abruzzo.
E nella Riviera del Gigante, sulla costa adriatica del teramano, queste tre stagioni appena citate offrono al visitatore e al turista mille occasioni di svago, scoperta, relax e piacere da concedersi, senza escludere il mare d’inverno e la possibilità di un incontro col Gigante quando è innevato.
Esso altri non è che il Gran Sasso d’Italia, maestoso e sublime massiccio montuoso appenninico, di composizione geologica alpina, che sovrasta ogni collina, bosco o foresta coi suoi 2900 metri di altezza, e perciò ben visibile e nitidamente dal belvedere di ognuno dei 7 Comuni costieri del nuovo brand turistico.

Silvi, Tortoreto, Martinsicuro, Alba Adriatica, Giulianova, Pineto e Roseto degli Abruzzi hanno dato vita di recente, presentandola alla Borsa del Turismo, questo marchio Made in Italy che punta ad attrarre un turismo di qualità, attento all’ambiente, ecosostenibile e versatile.
Dai centri abitati costieri è semplice e veloce fare un salto ai borghi antichi di età medievale e rinascimentale; passare da una spiaggia all’altra sulle due ruote con la lunga pista ciclabile che attraversa pinete e lungomare (spazio anche per piccole aree attrezzate in cui fare allenamento a corpo libero, con elastici, sbarre per trazioni, panche per addominali ed esercizi vari); così come prendere l’autostrada per addentrarsi nel cuore d’Abruzzo, fino al già citato Sasso e ai Monti della Laga, nonché fino alla Majella, la montagna materna degli abruzzesi.

La leggenda della dea Maia e di suo figlio Hermes, non così dissimile dall’amore della ninfa Teti per Achille, semidio destinato a morire sotto le mura di Troia in battaglia, si riflette nelle impervie cime, nei sentieri punteggiati di fiori ed erbe (quelle che servivano a curare Ermes morente, prima di accasciarsi e di diventare il Gigante di roccia del Gran Sasso).
Nei paesi è ancora rintracciabile “la tolleranza, la pietà cristiana (nelle campagne un uomo è nu cristiane), la benevolenza dell'umore, la semplicità, la franchezza nelle amicizie”, tutte le doti abruzzesi che Flaiano riconosceva alla gente della sua terra.
E l’ospitalità a tavola, nell’accogliere il commensale facendolo sentire a casa, partecipe della cucina e delle sue magie.

L’unica forma d’arte che coinvolge tutti i 5 sensi qui si traduce nel profumo della carne arrostita alla brace e dei mitici arrosticini di carne (provati a Tortoreto alta, al Largo del Mulino, dopo un giro nel centro storico con la sua Torre dell’Orologio e il punto panoramico, insieme alle bruschette con Ventricina, verdure di stagione e formaggio fritto).
Un tempo erano il cibo povero dei pastori, preparato con gli scarti della carne di pecora e infilati in bastoncini di legno ricavati da una pianta che cresce sulle rive del fiume Pescara.
Inventati negli anni ’30 del ‘900, essi hanno poi conquistato tutti i palati, diventando il vessillo delle migliori sagre di paese e uno street food di tutto rispetto.
Altrettanto inebriante è il profumo del ragù alle tre carni, con le polpettine in concerto con le chitarrine, pasta fresca all’uovo tipicamente abruzzese, provato al Palazzo Ducale La Montagnola di Corropoli grazie alle sapienti mani di chef Liguori.

Il sentore di cannella, avvertito nell’aria, non appena ha completato il piatto in un live show coking in sala (la struttura ospita solo cerimonie e banchetti), si sposa benissimo con la fonduta di pecorino che avvolge i suoi ravioli di pasta fresca spessa (doppia rispetto alla romagnola dell’altra Riviera), farciti con Genovese napoletana all’abruzzese (c’è il limone grattugiato nella salsa di ispirazione partenopea).
I profumi del mare troneggiano nei piatti di Cantine San Flaviano a Giulianova (baccalà mantecato con crema di peperoni, insalata di polpo, spigola in crosta, guazzetto sugli spaghetti e vellutata di broccoli), e in quelli del ristorante Vecchia Marina a Roseto.

In quest’ultimo locale lo chef Gennaro D’Ignazio si diverte a presentare ogni crudo di pesce come una piccola storia di colori e sapori nel piatto, una tela composita e saporita.
Il rosmarino sugli scampi e sulle cozze arriva subito al naso e poi al palato, che ringrazia, ripulito da un sorso di vino bianco, il Pecorino d’Abruzzo.
I rossi Cerasuolo e Montepulciano si accompagnano bene a piatti della tradizione come le Manzanelle (alla Montagnola), involtini di fegato d’agnello nell’indivia; con le ribs e il lonzino di suino nero con olive taggiasche e scaglie di Parmigiano Reggiano, sempre di chef Liguori; o con le chitarrine, pecorino, carciofi e speck (Locanda da Pia a Pescara).

A Villa Corallo a Sant’Omero, nel ristorante Zunica lo chef Gianni Dezio converte la cucina povera in Alta Cucina con le pallotte cacio e ova con sugo; e con le Virtù teramane del 1 maggio, un primo piatto di pasta mista, fresca e di grano duro, con legumi e verdure di vario tipo.
Esso conferma davvero quanto qui la primavera sia tra le più belle da vivere nel Belpaese, seguita dal dessert della pizza dogge al cucchiaio, dolce epilogo di un excursus culinario.

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