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ROCCO ENRICO BELLADONNA E LE SUE SCULTURE


Le sculture in miniatura come continua relazione fra l’elemento divino e quello umano

Rocco Enrico Belladonna, nato nel 1965 a Catania, è un artista archeologo e designer di prestigio che opera nel suo studio d'arte di Mineo.

Il tempio, la più impegnativa realizzazione dell’architettura greca, dimora terrena degli dei, è alla base di molte delle sue pittosculture che possiamo definire storiche per la rievocazione che il Belladonna declina della grecità e del classicismo ellenico.

Il concetto base che lo induce a riprodurre e costruire queste dettagliate sculture in miniatura è la continua relazione che esiste fra l’elemento divino e quello umano, laddove i templi miracolosi di Apollo, Giunone, Artemide etc., ancora intatti con le colonne, i frontoni, le scalinate, la tinta dorata della pietra, il calcare conchiglifero, integrano la loro magnifica ossatura alla solennità dello stile. In tal senso le colonne di Belladonna hanno le proporzioni giuste per conferire al tempio un senso di solidità e perfezione eterna che risiede soprattutto nei dettagli, pieni di grazia, di forza e di bellezza classica.

Questi portali spirituali greci istoriati nei fregi e nei timpani, sorti come dimostrazione di potenza, piuttosto che espressione di religiosità, trovano nel compimento della sua arte soluzioni molto raffinate di design; l'allineamento tra triglifi e colonne, dovendo l’ultimo triglifo coincidere con la fine della trabeazione in una struttura logica e rigorosa come un tempio greco, sono superati dall'artista nel recupero della sua “sapienza di costruttore” che riesce a centrare con precisione tutti gli elementi.

Rocco Enrico Belladonna rappresenta nel suo universo artistico quel pezzo del nostro passato talmente importante da dover essere tutelato e consegnato alle future generazioni, in quanto non appartiene ai greci o ai siciliani, ma all’umanità intera.

La sua arte è una vera matematica della bellezza che gli permette di plasmare alla perfezione i templi arcaici, riconducendoci anche alle loro origini, trasportandoci verso quella dimensione dove si trova la radice del tempio greco di pietra, influenzato dall’architettura religiosa egizia. Anch’essi in pietra, i templi egizi presentano un gran numero di colonne situate all’interno dello spazio sacro, del quale costituiscono la cosiddetta sala ipostila, diversamente dal modello greco avente un recinto circondato da colonne. Lo sviluppo di questa struttura non è legato solo alla religione e alle necessità del culto, ma si pone in stretta relazione con le caratteristiche della società e della polis. La cella che ospita la divinità è luogo oscuro e segreto che appartiene esclusivamente agli dei, invece il portico circostante è della collettività, della polis. La facciata principale del tempio, dov’era situata l’entrata, era rivolta a est da dove i raggi del sole nascente potevano illuminare il volto del divino che rifletteva se stesso.

Nelle prime chiese cristiane l’ingresso era rivolto a ovest, affinché la luce dell’alba, penetrando attraverso le vetrate del coro, orientate a est, investisse il viso dei fedeli orientato verso l’altare. I templi greci erano collegati al cosmo non solo tramite i punti cardinali, ma da una connessione matematica più profonda, i rapporti tra l’altezza, la larghezza e la lunghezza di una sala, o tra l’altezza delle colonne e la loro distanza reciproca.

Tutti i componenti architettonici dovevano attenersi a queste precise proporzioni.

Rocco Enrico Belladonna, inoltre, trova importante disegnare figure egittizzanti e ispirarsi all'arte egizia, perché in esse l'artista travasa il suo universo fatto di storia e di antichi miti.

I volti dei suoi soggetti sono disegnati di profilo per evidenziare gli occhi, il busto frontale come sede del cuore che simboleggia l’anima, le gambe invece la forza dei muscoli. Le figure di Thot, di Tutankamon hanno tutte la stessa altezza perché seguono la tecnica egizia di dividere il foglio di papiro in 18 quadretti; la testa doveva misurare tre quadretti e non conoscendo la prospettiva disegnavano una linea sotto i piedi, usando per dipingere la campitura, ovvero il colore steso su una forma limitata da un profilo. I colori sono ottenuti mescolando pigmenti con acqua o albume d’uovo. Ogni colore nelle opere di Belladonna ha un significato preciso; il rosso della vittoria, simbolo di fuoco. Il bianco designa la sacralità, l’onnipotenza e la purezza. Il giallo, colore dell’oro, è simbolo di eternità. L'azzurro che veste il cielo e l'acqua si fa simbolo di vita e di rinascita, cui spesso è abbinato il verde della vegetazione emblema di rinnovamento spirituale. Il nero appartenente alla

notte e alla morte, si lega ancestralmente alla fertilità delle acque limacciose del Nilo.

L’architettura sacra di Rocco Enrico Belladonna si raffigura come uno specchio capace di svelare l’universo e i movimenti celesti, facendosi strumento di design, essa delinea in un ambiente, l'arcana chiave per decifrare gli enigmi del cosmo.


L'articolo è di Melinda Miceli - Storico e critico d'arte










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